martedì 8 gennaio 2013

Gloria


Dalla breve passerella intravedo l’acqua del Nilo placida e nera. La cancello con i miei tacchi 12 che calpestano una moquette color carminio a fiori dorati. Aprendomi la porta, un cameriere mi fissa. Gli lascio un mezzo sorriso ed entro nella sala ristorante di un barcone elegante: decine di persone che si scambiano gli auguri di Natale e si lanciano sui tavoli alla ricerca di un posto per la serata. I tavoli addossati, difficile passare. A. mi precede, si fa strada e come un Mosè mi lascia attraversare la sala. Arriviamo al tavolo e saluto i parenti. Auguri, baci, parole. A. si siede prima di me e ci faccio caso. Dopo tre anni di matrimonio il nostro rapporto è diventato più essenziale. Le parole romantiche, la galanteria e la tenerezza dei primi giorni sono svaniti e ora tutto è più freddo. Lo capisco e sorrido, sfilandomi la pelliccia. Il seno strizzato da una maglietta aderente,  la vita sottile e i fianchi larghi inguainati in pantaloni bianchi.
Sono un fiocco di neve ghiacciato. 
La serata va. Si cena. La musica è assordante, impossibile parlare. Ad un tratto la voce distorta di un cantante annuncia ‘la ballerina’: “Lunaaaaaaaaaa Luna Luna Luna a a a a “.  
Al centro della sala si crea un’arena: suonatori di tamburi e uomini seduti in cerchio sulle sedie o per terra. Le donne restano sedute ai tavoli. Nessuna in piedi. 
Gli uomini ai tavoli si alzano in piedi. Entra Luna, chiara e in carne. I rotoli della pancia vibrano a suon di musica e i capelli cominciano ad attaccarsi al collo lucido. Ha un costume da ballo rosso, tutto brillantini e fiocchi dorati. Un piercing all’ombelico e un rossetto dello stesso colore dello smalto. A. è accanto a me, in piedi. Batte le mani con una foga indescrivibile. Gli occhi fissi sul bacino della ballerina. Lei ammicca agli spettatori eccitati, è un continuo occhiolino: occhio destro, occhio sinistro, occhio destro, occhio sinistro. Si dimena. Balla. Suda. 
A. Suda, non sorride ed entra tra le cosce di quella donna a cercare vita. Cerca la gloria. Mi aggrappo al suo braccio con la mano destra. Non mi guarda e mi allontana infastidito. Lui sorride alla ballerina e io mi alzo. Mi faccio strada tra le braccia che applaudono e tra le urla infuocate. Vado fuori. Mi tiro indietro i capelli con un movimento secco e con la coda dell’occhio lancio un’occhiata vogliosa al cameriere che si tasta il pacco. Sorrido e mi segue in bagno. Entriamo e usciamo dopo poco. La ballerina continua a ballare. Torno al tavolo e non mi siedo. Resto accanto ad A. 
Batto le mani e ancheggio al ritmo dei tamburi. Amo il Natale. Amo mio marito. 


lunedì 7 gennaio 2013

Buonismo


Quest’anno la Befana non si è fatta vedere da queste parti - eccetto l’ultimo discorso del presidente siriano Bashar al-Asad che solo sui media italiani si chiama Bashir! - ma ha frustato l’aria con la sua scopa sconvolgendo il Cairo con un cocktail di vento e pioggia che ha spazzato via il pacchetto tombola-palline-regali-lenticchie-biancheria.intima.rossa-calze.piene.di.carbone. Ha lasciato solo una spessa coltre di polvere su cose e case, macchine e alberi, silenzio e voglia di buoni propositi. 
Quando le lucine si spengono è il momento per una letterina da inizio anno, da ‘incrociamo le dita perché quest’anno sia diverso”. E allora mi sono messo pensare a quell’entità che ognuno maschera come vuole appuntando a mente tanti piccoli desiseri: un iPad, un appartamento, un viaggio, un amore. Chissà! 
Mentre pensavo hanno bussato alla porta. 
«E tu chi sei?»
«Emme.»
«Quanti anni hai?»
«Nove.»
Da dietro è spuntato il fratellino maggiore che avevo incontrato prima. Anche lui aveva poco più di nove anni quando mi sono trasferito in quest’appartamento ed ora è un ometto, sorride come un uomo di mondo e ti parla come se avesse cinquant’anni. 
Tutti i pomeriggi raccolgono la spazzatura del mio sporco condominio.
«Freddo oggi, eh?»
«...» non risponde. Si vergogna. 
Gli ho sorriso e chiudendo la porta gli ho scritto una letterina.
Vorrei una casa nuova dove non si sente la puzza di spazzatura, vestiti puliti e un bagno caldo. Vorrei una scuola e dei fogli bianchi su cui disegnare. Vorrei correre dopo aver fatto i compiti ed essere sgridato da mia madre per aver fatto tardi. Vorrei sbucciarmi le ginocchia, cadere, rialzarmi e riprendere a correre. Vorrei lavarmi le mani prima di mangiare e mangiare prima di addormentarmi. Vorrei un giocattolo, un paio di scarpe, un cappotto”.
Ho piegato la letterina e l’ho imbucata nella buca dei desideri. 
Poi ho scaraventato via il pensiero e mi sono appuntato un ps importante su un post-it.

Stamattina non trovo più il post-it. 



venerdì 4 gennaio 2013

Becchi


La primavera araba ha riversato per le strade del Cairo siriani, libici, yemeniti e rondini. Li vedi, li noti, li riconosci dai vestiti, dagli accenti, dal modo di camminare. Le rondini invece volano. Ne ho viste cinque oggi nel breve tragitto che ho percorso a piedi dalla stazione della metropolitana a casa mia. Erano le tre di pomeriggio e il cielo era una pennellata di foschia. Volavano. Velocissime. Un movimento malato, nevrotico, lanciate verso un obiettivo da colpire: una base militare o una postazione di ribelli. Volavano basse, in slalom tra le persone e le macchine. Mi son dovuto piegare due volte per evitare che un becco mi perforasse un occhio. La primavera araba ha portato al Cairo rondini che sono scese in strada per protestare. Chiedono aria pura. Chiedono vita.

Stasera è venuto a trovarmi un amico. Mi ha detto che a volte gli manca l’aria. Gli sembra di impazzire in questo nuovo Egitto. Andandosene, barcollava, a zig zag nel corridoio, come una rondine. Ma lentissimo. Si è aggrappato alla maniglia della porta e, prima di uscire, mi ha confidato che da qualche mese prende anti-depressivi. È uscito. L’ho cercato dalla finestra ma non l’ho visto. Negli occhi il becco di una rondine.